Pietro Zonza
Pavel Petrovitch Troubetzkoy nasce a Intra il 15 febbraio 1866, figlio del principe e diplomatico russo Pierre Troubetzkoy e della pianista americana Ada Winans. Grazie ai genitori, che amano circondarsi di artisti e letterati, Pavel si appassiona all’arte e studia scultura con Daniele Ranzoni. Nel 1884 si trasferisce a Milano: qui frequenta l’ambiente della Scapigliatura, facendo pratica prima nello studio di Ernesto Bazzaro e Donato Barcaglia, poi da autodidatta nel suo studio personale. Inizia la sua lunga attività espositiva esordendo a Brera nel 1886 con la scultura Cavallo. Da questo momento fino al 1897 partecipa a tutte le manifestazioni espositive indette dall’Accademia di Brera e dalla Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente.
A Milano Troubetzkoy conosce personaggi illustri come Alfredo Catalani e Giacomo Puccini. In questi anni esegue anche numerosi ritratti, tra cui si ricordano quello di Daniele Ranzoni (1890), Gabriele d’Annunzio (1892), Giovanni Segantini (1896), Lev Tolstoj (1899).A partire dal 1895 e fino al 1934 partecipa a quasi tutte le edizioni della Biennale di Venezia, dove ha modo di farsi notare dal critico Vittorio Pica, che ne rimane entusiasta.
“Paolo Troubetzkoy che è sopra tutto un mirabile animalista e un acuto studioso della fisionomia umana, si è posto fin dalle sue prime prove a cercare con lodevole ardore qualcosa di affatto nuovo e moderno, proponendosi non soltanto di riprodurre con rara efficacia l’espressiva mobilità del volto, ma di dare quasi l’illusione del movimento. Egli è dunque un novatore e come tale si è creata una tecnica tutta sua, una tecnica d’impressionista della scultura…” (Pica 1897, pp. 259-260).
Nel 1896 si reca a San Pietroburgo e, dal 1899 fino al 1906, lavora al monumento allo zar Alessandro III.
Trascorso poco più di un decennio tra la Finlandia e Pallanza, nel 1921 fa ritorno a Parigi, ma trascorre ogni estate in Italia, a Cà Bianca, dove continua a lavorare (è del 1922 il monumento per i Caduti della Prima guerra mondiale a Verbania). Dello stesso anno è anche la sua imponente personale allestita con 37 sculture in gesso, bronzo e marmo al Palazzo dell’Esposizione di Venezia per la XIII edizione della Biennale d’arte. Troubetzkoy si trasferisce definitivamente a Cà Bianca nel 1932, cinque anni dopo la morte della moglie. Negli ultimi anni della sua vita esegue ancora numerose sculture, tra cui quella a Giacomo Puccini per il Teatro alla Scala, e partecipa a numerose esposizioni in Italia, Spagna, Francia e Stati Uniti.
Gravemente ammalato di anemia, muore a Suna il 12 febbraio 1938.
Lo stile di Troubetzkoy è immediato, narrativo, dal tocco vibrante e ricco di morbidezze espressive.
Le sue creazioni ritraggono il mondo dell’alta società internazionale; indimenticabili sono gli splendidi busti dedicati al conterraneo Lev Tolstoj, a Gabriele D’Annunzio, ad Arturo Toscanini, a Enrico Caruso, a George Bernard Shaw, così come sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo le figure di ballerine, di fanciulle, di bambini.
La sua tecnica appare molto veloce e sicura, creata da “colpi” di stecca precisi che in pochi tratti definiscono nervosamente le immagini. Immagini intrise di struggente malinconia e dolcezza infinita, che rendono Troubetzkoy – considerato dai suoi contemporanei un artista che scolpiva per diletto, data la sua posizione sociale ed economica – uno dei più affascinanti e interessanti scultori del periodo che dagli ultimi decenni dell’Ottocento traghetta l’arte scultorea sino alle soglie della Seconda guerra mondiale, dopo la quale tutti gli scenari inevitabilmente subiranno un’enorme modifica.