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Grande e rarissima figura di Amitayus eretto su fiore di loto in bronzo dorato con aura, Zanabazar, Mongolia, terzo quarto del XVII secolo

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Grande e rarissima figura di Amitayus eretto su fiore di loto in bronzo dorato con aura, Zanabazar, Mongolia, terzo quarto [..]

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h cm 68,5  l’espressione del volto è al contempo distesa e forte: le sopracciglia arcuate si incontrano all’estremità del naso ad incorniciare gli occhi elegantemente incurvati in profonda meditazione. Il corpo è proporzionato secondo gli standard dell’iconografia tibetana, lasciando trasparire un senso di naturalezza. Parte dei suoi lunghi capelli neri è raccolta in uno chignon alto e parte scende fino ai piedi. Indossa i tredici ornamenti di un principesco bodhisattva: la corona a cinque punte, orecchini pesanti, diverse collane, fasce sulle braccia, braccialetti, fili di perle, cintura e cavigliere. Sta eretto su un piedistallo di fiori di loto completamente sbocciati e tra le mani regge una coppa atra.
Ulteriori informazioni
Provenienza: Cerruti Il Buddismo tibetano, una religione di marcata impronta rituale e con un affolato pantheon di dei e divinità, fu fonte d’ispirazione dell’arte religiosa della Mongolia. L’arte mongola risente fortemente degli stili delle regioni confinanti di Tibet, India, Nepal e Cina. I rapporti culturali tra il Tibet e la Mongolia erano fitti e di lunga data: i Lama tibetani facevano proseliti in Mongolia e i mongoli andavano in pellegrinaggio in Tibet. Le sculture e gli oggetti di culto tibetani erano frutti preziosi di questi viaggi e costituivano motivo d’ispirazione dei maestri locali. Gli artisti si attenevano alle descrizioni dei testi religiosi nel realizzare l'immagine sacra ispirandosi fedelmente alla sua iconografia e alle sue proporzioni. L’arte scultorea mongola, pur condividendo la stessa iconografia tibetana e cinese, si distingue nettamente per precise caratteristiche tecniche e formali. Lo stile dell’ornamento, la forma dei petali di loto ed il modo in cui la base è inserita e sigillata spesso rivela indizi sul paese d’origine. Nel tardo Seicento e all’inizio del Settecento, lo scultore per eccellenza nei paesi Buddisti era Zanabazar. Bogdo Gegen Zanabazar (Mongolia 1635-1723) era figlio del Khan Tusheet, uno dei capi della Mongolia nel XVII secolo, diretto discendente di Gengis Khan, il fondatore dell’Impero mongolo. Zanabazar non fu solo un grande artista, ma anche un monaco illuminato e uno dei personaggi più rilevanti della storia politica, religiosa e culturale del suo paese. Nel corso di un viaggio in Tibet nel 1640, fu riconosciuto sia dal Panchen Lama che dal Dalai Lama come Buddha vivente e venne considerato la prima incarnazione mongola del Buddha Avalokitesvara. Stimato erudito, astrologo, medico e poeta, Zanabazar fu spesso avvolto da un’aura di leggenda, ma è conosciuto soprattutto per le sue incomparabili sculture, che risultano essere tra le massime opere dell'arte buddista. Nelle opere di Zanabazar e in particolare nelle sculture, eseguite per lo più dai seguaci della sua scuola, risaltano nella loto singolare bellezza le proporzioni e i volti delle divinità ritratte in profonda meditazione, abilmente riprodotte secondo le caratteristiche del corpo ideale. Nel 1686 Zanabazar scrisse il nuovo alfabeto Soyomb, il cui simbolo compare sulla bandiera mongola. Il maggiore contributo di Zanabazar all’arte mongola furono le sue sculture in bronzo dorato. Rappresentano figure giovani e meravigliosamente proporzionate. I loro volti sono caratterizzati da una fronte alta, da sottili sopracciglia ad arco, nasi dal ponte alto e piccole labbra carnose. I gioielli sono raffinati, specialmente il semplice lungo filo di perle che attraversa il busto. Le sculture di Zanabazar sono generalmente composte da due parti, il corpo e il piedistallo, creati separatamente e poi saldati insieme. La maggior parte delle sculture veniva poi dorata al mercurio. Seguendo la tradizione tibetana, i volti spesso venivano dipinti in oro a freddo e gli occhi e le labbra colorati con pigmenti minerali. Le divinità pacifiche avevano i capelli dipinti di blu, mentre i feroci guardiani venivano dipinti con i capelli rossi. I piedistalli di loto delle sculture di Zanabazar e della sua scuola sono peculiari. Invece del tipico trono ovale e rettangolare tibetano, mostrano una preferenza per piedistalli circolari o a tamburo e semi-ovali con alte basi. La scuola di Zanabazar si distingue anche per le molte varietà di bellissimi petali di loto e per la decorazione a perline sulla parte superiore del piedistallo, a volte anche su quella inferiore. Particolare enfasi viene data agli stami dei fiori di loto: erano meticolosamente incisi sia come striature verticali al di sotto della fila di perline sia come piccoli gruppi a forma di ventaglio tra i petali di loto. Secondo la tradizione tibetana, anche in Mongolia le sculture venivano benedette una volta completate. Oggetti sacri come rotoli di preghiere e altre reliquie venivano inseriti all’interno della statua e la base veniva sigillata con un piatto di metallo. La decorazione standard per questa lamina inferiore era un’incisione a doppio dorje, anche se alcune erano lasciate senza decoro. Il doppio dorje di Zanabazar era particolarmente bene rifinito e spesso dorato. Nell’intersezione tra i due dorje alcuni restavano senza decoro, in altri invece possiamo trovare tre segmenti circolari, a simboleggiare il cambiamento senza fine e una mente beata che irradia compassione. Ambasciatore Vittorio Cerruti Nato nel 1881 a Novara, conseguì la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Roma nel luglio del 1903. Entrato per concorso nella carriera diplomatica, fu inizialmente segretario di legazione a Vienna. Durante la Grande Guerra si trasferì in diversi Paesi fino al settembre del 1922, quando venne incaricato come Ministro Plenipotenziario a Pechino. Convolato a nozze nel 1923 con l’ungherese Elisabetta de Paulay, lasciò la Cina nel 1926. Nel 1922 ebbe l’opportunità di presenziare all’ultimo matrimonio imperiale cinese, quando la Cina era già un paese repubblicano, ed ebbe l’onore di un’udienza con il Panchen Lama durante la sua visita a Pechino nel 1926. Nel 1927 venne nominato Ambasciatore, il più giovane dalla costituzione del Regno d’Italia, e assegnato Mosca, poi in Brasile nel 1930 ed infine nel 1932 fu trasferito a Berlino presso l’ambasciata Italiana in Germania. La nomina era dovuta al pieno riconoscimento da parte di Mussolini delle sue qualità di esperto conoscitore del mondo tedesco e centroeuropeo. Nel contesto problematico del nazional-socialismo, risultarono preziose le sue capacità di diplomatico lucido nelle analisi, perspicace nelle previsioni e poco influenzabile dall’ambiente nel quale operava. L’ultimo incarico fu a Parigi dal 1935 al 1937. Congedato a cinquantasette anni nel giugno del 1938, riprese poi l’attività paterna assumendo la presidenza della Banca popolare di Novara e divenendo consigliere d’amministrazione di varie società. Morì a Novara il 25 aprile del 1961.
Asta Live 310

Fine Chinese Works of Art

mar 23 - mer 24 Maggio 2017
Milano
TORNATA UNICA 23/05/2017 Ore 09:30
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