Alessandro Magnasco è senza ombra di dubbio uno dei protagonisti più rilevanti e innovativi del panorama artistico italiano della seconda metà del Seicento.
Lo stile vibrante e altamente espressivo, caratterizzato da rapide pennellate spigolose, guizzanti lampi di luce e nervose stesure a macchie di colore, si discosta dalle crome vivaci presenti nelle opere dei maestri genovesi coevi, rivelando un’enfasi chiaroscurale tipica dell’arte lombarda, con la quale Magnasco venne in contatto durante il suo apprendistato a Milano presso la bottega di Filippo Abbiati.
La coppia di tele qui presentata può essere considerata parte di quella produzione di opere "caricate e giocose" che Magnasco realizzò in occasione del suo soggiorno a Firenze presso la corte di Ferdinando de Medici (1703-1710), e destinate ad una committenza intellettuale, influenzata dalla letteratura picaresca spagnola del XVII secolo e dalla contemporanea produzione italiana di testi popolari come Il Vagabondo di Raffaele Frianoro (1640). In questa occasione, infatti, Alessandro Magnasco ebbe modo di entrare a diretto contatto con le opere di artisti quali Stefano della Bella, Jacques Callot e Salvator Rosa, conservate all’interno delle collezioni medicee, nelle quali paesaggi o interni erano animati da un gran numero di piccole figure di frati, soldati, zingari, vagabondi, boscaioli e saltimbanchi, raffigurati intenti ad adempire alle attività tipiche della propria quotidianità.