"Il dipinto è stato eseguito su due grandi tavole di conifera giunte verticalmente, alle quali è stata applicata sul dorso con delle viti una intelaiatura di rinforzo in legno. Questo intervento, realizzato probabilmente intorno agli anni 1950, ha provocato piccoli sollevamenti della superficie pittorica che pure si presenta, nell’insieme, in uno stato di conservazione soddisfacente. Il dipinto conserva in alto parte della cornice originale sagomata a doppio arco polilobato, motivo che doveva contraddistinguere anche gli altri scomparti del polittico di cui questo elemento costituiva il centro.
Il dipinto raffigura san Giovanni Battista il cui manto maschera in parte la pelle di cammello con cui il santo eremita è abitualmente rappresentato; egli tiene inoltre una lunga croce sormontata dall’Agnus Dei e un filatterio sul quale è iscritto l’annuncio profetico: “Ecce Agnus Dei”. Accanto a lui compare san Giovanni Evangelista coperto da una tunica azzurra e da un manto rosso; regge con la mano destra un recipiente da cui emerge la testa di un serpente, allusione al miracolo della coppa avvelenata che sarebbe stata data da bere a Giovanni dal sacerdote pagano Aristodemo (Leggenda aurea IX) poi convertitosi al cristianesimo; con la stessa mano il santo tiene una lunga palma che evoca quella che la Vergine gli avrebbe consegnato prima della sua morte. Gli attributi che contraddistinguono le due figure costituiscono una originale contaminazione di motivi propri alla tradizione iconografica italiana (Georg Kaftal, Iconography of the Saints in Tuscan Painting, Firenze 1986, coll. 549-569) e di elementi figurativi iberici (secondo la versione variata in Spagna della compilazione di Jacopo da Varagine nota come Flos Sanctorum).
I polittici dedicati ai due santi Giovanni, praticamente inesistenti nella penisola italiana, sono numerosi nei territori della corona d’Aragona: da quello già in San Pere de Cubells (Noguera), ora nella collezione Babra di Barcellona, attribuito al Maestro di Cubells; a quello della chiesa di Sant Joan d’Albocàsser (Alt Maestrat), attribuito a Pere Lembrí [o al Maestro di Albocàsser: F.Ruiz i Quesada 2005, p. 178]; a quello proveniente da Santa Coloma de Queralt (Conca de Barberà), ora al Museo Nazionale d’Arte della Catalogna [MNAC], inv. 4351; a quello di Bernat Martorell, proveniente dalla chiesa di Vinaixa (Garrigues); a quello di Rafael de Moguer, 1450, al Museo di Mallorca (R.Alcoy, M.Montserrat Miret 1998, p. 163).
Riscoperto all’inizio del XX secolo nella collezione di Jaume Villalonga come proveniente dal monastero reale di Santes Creus (“Ilustració catalana”, III, 1905, 108, 25 giugno), questo importante dipinto è stato oggetto di varie proposte attributive, determinate dal carattere singolare e unico dello stile, equidistante tra il naturalismo filo-toscano dei Bassa (Ferrer e Arnau) e dei Serra (Jaume e Pere), e l’adesione al gotico internazionale di Lluis Borrassà, dei suoi seguaci e della corrente più espressiva dei pittori attivi a Valencia intorno al 1400 (tra cui il tedesco Marçal de Sas, ivi documentato dal 1390 al 1410). Chandler Rathfon Post (VI/2, 1935, p. 530 nota 2) ha introdotto per la prima volta il pannello in un contesto critico, rilevandone la somiglianza iconografica con i Due San Giovanni di Joan Mates (ora a Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza) e assegnandolo, sulla base di una fotografia scattata da Adolf Mas (n. 3329C: Barcellona, Institut Amatller d’Art Hispanic), “to the circle of Ferrer Bassa’s immediate successor or to the following of the Serras”. Qualche anno più tardi lo studioso americano (Post VIII/, 1941, p. 570, fig. 265), che nel frattempo aveva probabilmente avuto occasione di esaminare dal vero il dipinto nella collezione di Alfred P.Sloan Jr. a New York, correggeva il proprio giudizio attribuendo il quadro al Maestro di Rubió, una personalità anonima attiva nella regione di Barcellona nel terzo quarto del Trecento sulla scia dei fratelli Serra e di Arnau Bassa, che trae il proprio nome convenzionale dal polittico con l’Incoronazione e storie della Vergine e della Passione di Cristo, attualmente smembrato tra la chiesa parrocchiale di Rubió (Anoia, Barcellona) e il Museu Episcopal di Vic.
Nel 1953 José Gudiol Ricart nella sua monografia su Borrassá (Barcellona 1953, pp. 44-45, fig. 16) dedica una attenta e elogiosa lettura al dipinto “che si dice provenire dal monastero di Santes Creus”: dissente dal riferimento al Maestro di Rubió proposta da Post e propone di collocare il quadro nella corrente del gotico catalano, da datare all’ultimo decennio del secolo XIV. Gudiol Ricart ammette che, nonostante l’indiscutibile qualità, l’opera rischia di rimanere “huérfana de paternidad y sin atribución” perché, pur rivelando forti affinità con i dipinti di Borrassà, se ne distingue per dati formali e tecnici (il fondo dorato non è operato, come nelle altre opere del pittore catalano). Potrebbe trattarsi, suggerisce lo studioso, di una sua opera giovanile perché nessun altro pittore catalano di questo periodo sembra essere stato capace di produrre “una obra tan importante”; solo Borrassà nei sui primi venti anni di attività potrebbe avere concepito e dipinto “figuras tan bellamente dibujadas y tan características dentro del estilo internacional.” L’apprezzamento incondizionato di Gudiol Ricart deve avere influenzato Post che in un ulteriore aggiornamento della sua Storia della pittura spagnola (XI, 1953, p. 376) ha messo in dubbio la sua precedente attribuzione, inserendo il quadro in una sorta di lista di attesa: “I have still to find another painter of the time to whom it can be so reasonably allocated”.
A partire da questa data, la fotografia del dipinto rimane in vista degli studiosi spagnoli, sebbene l’autore del dipinto ancora sfugga ad un precisa identificazione.
Nel vasto e utilissimo repertorio dedicato alla Pintura gótica catalana (Barcellona 1986, p. 86 cat. 221, fig. 409) Josep Gudiol e Santiago Alcolea i Blanch hanno inserito questa tavola tra le opere dei seguaci anonimi di Borrassà.
Più recentemente Francesc Ruiz i Quesada (2005, pp. 84-88, ill. a p. 86), riepilogando la variegata “fortuna critica” dell’opera (già attribuita al Maestro di Rubió, al Maestro di Sant Gabriel, al primo Borrassà, e alla sua bottega), ne ha sottolineato le affinità con Guerau Gener (Barcellona 1369-1410), collaboratore per breve tempo nella bottega di Borrassà (1391) e poi attivo tra Barcellona e Valencia dove è documentato nel 1405 in rapporto professionale con Marçal de Sas e il valenciano Gonçal Peris. In una generale revisione della personalità del catalano Gener, attore di primo piano nello sviluppo delle relazioni tra Barcellona e Valencia negli anni intorno al 1400, il pannello con i Due santi Giovanni per Ruiz i Quesada può trovare una propria collocazione tra il polittico dei Santi Bartolomeo e Isabella della cattedrale catalana di Guerau Gener (1400-1401) e quello dell’altare maggiore di Santa Maria di Santes Creus (1407-1411), nella realizzazione del quale si succedettero Pere Serra, lo stesso Gener, e infine Lluís Borrassà (1411).
Da ultima Rosa Alcoy (2016, pp. 353-354) ha supposto che il carattere gotico già percettibile nel polittico dei Santi Isabella e Bartolomeo (destinato in origine ad una delle cappella del chiostro della cattedrale) sia dovuto ad un primo soggiorno a Valencia di Guerau Gener, assente dai documenti barcellonesi dal 1391 al 1399. La presenza di Gener a Valencia è in seguito documentata nel 1405, allorché è in rapporto diretto con Marçal de Sas e Gonçal Peris, due protagonisti della fulgida e breve stagione gotica della città. Questa rete di scambi tra le due capitali mediterranee può spiegare la singolare qualità del pannello con i Due santi Giovanni, che rivela, nell’interpretazione espressiva delle cadenze del gotico internazionale, la conoscenza dei prototipi valenciani di Marçal de Sas e di Jaume Mateu. Rinviano a questa cultura anche alcuni motivi decorativi, come le due strisce decorate a punzoni che delimitano sui lati lo spazio riservato ai santi. Il volto irsuto di san Giovanni Battista, la resa di alcuni dettagli anatomici come i lunghi piedi dei due santi, richiamano invece i forti legami di quest’opera con la produzione di Borrassà: motivi che potrebbero indurre a datare il dipinto agli ultimi anni del Trecento: una questione che, come quella dell’identità dell’autore, rimane aperta.
Nessun altro elemento appartenente allo stesso polittico di cui i Due santi Giovanni occupavano la sezione centrale è finora emerso negli studi o sul mercato antiquario; è possibile che nuovi elementi emergano da un indagine più approfondita sulle presenze di artisti catalani a Valencia intorno al 1400."
Ringraziamo il Prof. Mauro Natale per l’autorizzazione a utilizzare il suo studio sul dipinto