Luigi Rey di Villarey e Olga Cisa Asinari di Grésy erano fratelli. Si volevano un gran bene, ma non potevano essere più diversi. Appassionato cacciatore il primo, e bon vivant, si rintanò negli anni venti a Oglianico Canavese (un paesino a quel tempo sperduto nella campagna a nord di Torino, ancora priva di siti industriali e dove mia nonna viveva); e lì morì negli anni settanta senza muoversi quasi mai. Lei dinamica, chic e fantasiosa, fondò un piccolo impero nel nascente prêt-à-porter italiano con il marchio Mirsa; diventò ricchissima e la prima donna Cavaliere del lavoro. Conobbe un successo senza precedenti (al pari di Emilio Pucci) negli Stati Uniti e in Giappone e le sue fabbriche impiegavano negli anni sessanta e settanta circa duemila operai.
I due fratelli erano accomunati da un penchant per le belle cose e il quieto vivere e le loro case erano piene di promesse, alla moda di quegli anni del dopoguerra, quando le famiglie bene avevano dimore alla francese (con mobili settecenteschi e stoffe allegre), accoglienti ed estremamente decorate. Olga poi fu una mentore per Renzo Mongiardino che, all’inizio della sua carriera, decorò, già alla fine degli anni cinquanta, le sue case.
Oggi i nipoti di Luigi e Olga hanno deciso di riunire i loro beni a Oglianico, nella casa di Marilù (figlia di Luigi e mia madre, che qui è nata e vissuta per almeno quarant’anni), per esitare in un unico contesto quanto resta di una vecchia passione familiare e di vite accomunate da una certa propensione alla douceur de vivre di quel dopoguerra. Alcuni oggetti e mobili francesi arredavano all’inizio del secolo passato la casa parigina di zio Vladimiro, detto Dima, assurto nelle nostre categorie familiari a emblema di humour colto e gentile e di libertà di costumi, dato che, forse a causa dei lunghi suoi soggiorni monegaschi, gli si attribuì per amante la sorella di un qualche principe Grimaldi. Altri mobili provengono dalla casa torinese
di mio padre e un tempo lontano arredavano un’antica “vigna” sulla collina di Rivoli, poi venduta a inizio dello scorso secolo. Altri ancora sono stati pazientemente assemblati dai miei nonni, da zia Olga, e da mia madre.
La famiglia Rey di Villarey è originaria di Tolosa, ha servito la Francia sotto Enrico IV e Luigi XIII per poi passare al servizio dei principi di Monaco.
Nella prima metà dell’Ottocento scelse il Piemonte, tanto che il nonno e il bisnonno di Olga e Luigi, entrambi generali sabaudi, morirono sui campi delle guerre del Risorgimento e sono sepolti e ricordati (con busti e lapidi) a San Martino alla Battaglia, nel cimitero monumentale di Pisa e a palazzo Carignano a Torino.
L’ammiraglio di Villarey aprì il porto di Quarto ai garibaldini diretti in Sicilia.
La bellezza delle donne di casa molto dovette alla nonna di San Pietroburgo, nata Olga Evreinoff, affascinante a quanto si dice, e morta anzitempo di tubercolosi, malattia non rara a quei tempi.
Mia madre è vissuta a Oglianico quasi tutta la vita e, per affetto dei suoi e con l’amorevole collaborazione di mio padre, si fece costruire questa casa negli anni sessanta non lontano dalla vecchia residenza dei miei nonni nel paese antico, e su un terreno coltivato a granturco.
Successe che cinquant’anni fa si innamorò di una casa elegante, costruita su un altopiano affacciato sulla Loira, vicino ad Angers, quindi bussò alla porta del proprietario (un amabile barone parigino che se l’era fatta costruire sulle rovine di un malandato castello incendiatosi dopo la guerra) e ottenne il permesso di replicarla qui in Canavese con i piani del medesimo vecchissimo architetto di Parigi che l’adattò alle esigenze di una famiglia non troppo diversa da quella del suo primo committente.
Sia Olga che Luigi e Marilù erano chineurs accaniti e non passava settimana che, ovunque si trovassero, non visitassero antiquari le cui gallerie, a quei tempi, erano vere e proprie caverne di Alì Babà. Il mitico Accorsi, il re degli antiquari italiani di allora, era meta di gite mensili e parte di un’agenda divertente e ingombra di meravigliosi reperti.
I miei genitori, che questa casa amarono moltissimo, erano ahimè epigoni di un mondo scomparso; il ricordo di Olga, Luigi e dei loro figli è per noi, a nostra volta figli e nipoti sparsi per il mondo, dolce e amaro come ogni cosa lieve e sorridente che è appartenuta alla nostra giovinezza e quindi fuggita via senza rimedio.
Emanuele Gamna