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Acquasantiera in rame dorato, filigrana d'argento e corallo. Argentiere siciliano della fine XVII - inizi XVIII secolo

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Descrizione

Acquasantiera in rame dorato, filigrana d'argento e corallo. Argentiere siciliano della fine XVII - inizi XVIII secolo

cm 31x21.L'opera, realizzata su una lamina di rame dorato sbalzato e cesellato, che funge da supporto, è composta da filigrana d'argento e corallo. Sulla superficie metallica è abilmente inserito, infatti, un decoro floreale e fitomorfo in filigrana d'argento, verosimilmente in origine molto più fitto, con varie tipologie floreali di diversa forma ed elementi fogliacei perlopiù nastriformi, terminanti con piccole corolle in corallo. Centralmente, in una nicchia contornata da un serto floreale, è inserita una piccola scultura pure in corallo raffigurante San Giovanni Battista. Il precursore di Cristo, dal viso emaciato e coperto da un ampio e svolazzante perizoma, è effigiato nell'atto di versare l'acqua da una ciotola, che simbolicamente si raccoglie nell'argentea conca di filigrana sottostante. L'accostamento del rame dorato e del corallo rimanda ai pregevoli manufatti realizzati dalla maestranza dei corallari trapanesi, conformandosi del resto ad un'altra propensione tipica dell'artigianato siciliano che combina i materiali più diversi, ma l'opera in esame potrebbe essere frutto della collaborazione tra un argentiere palermitano e un corallaro trapanese. Il pregevole manufatto della collezione Maranghi di Rimini è raffrontabile con pochi altri splendidi esempi di acquasantiere di fattura siciliana, tra cui con il simile manufatto che ingloba la raffigurazione di San Rocco, già in collezione privata ed ora custodita al Civico Museo della Filigrana Pietro Carlo Bosio di Campoligure (cfr. M.C. Di Natale, scheda II.101, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, pp. 254-255; si veda inoltre Tigullio antico. Alla riscoperta del culto di Santa Rosalia. Arte, storia, tradizioni, Genova 2002, p. 125) e con l'altro analogo di collezione privata palermitana recante sul verso l'iscrizione Franciscus Palumbo filius Gennari Palumbo fecit hoc opus 1678, che presenta la raffigurazione di Santa Rosalia e il genio del fiume Oreto (cfr. M.C. Di Natale, scheda 116, in L'arte del corallo in Sicilia, catalogo della mostra a cura di C. Maltese — M.C. Di Natale, Palermo 1986, pp. 288-290, che riporta precedente bibliografia; M.C. Di Natale, scheda 1.25, in Wunderkammer siciliana alle origini del museo perduto, catalogo della mostra a cura di V. Abbate, Napoli 2001, pp. 116-117). Le affinità compositive e stilistiche inducono a ipotizzare che le preziose opere superstiti, inclusa quella in esame, siano state realizzate dalla stessa bottega, verosimilmente attiva a Palermo in cui dovevano collaborare un corallaro trapanese, possibilmente riparato nella città dopo la diaspora del 1672, successiva a una sommossa della maestranza dei corallari a Trapani e un argentiere palermitano (M.C. Di Natale, Ars corallariorum et sculptorum coralli a Trapani, in Rosso corallo. Arti preziose della Sicilia barocca, catalogo della mostra a cura di C. Amaldi di Balme - S. Castronovo, Milano 2008, pp. 27-28), anche se l'opera di Campoligure e quella di Rimini sono state realizzate in un momento immediatamente successivo. Padre Benigno da Santa Caterina nel 1810 ricorda come i corallari trapanesi avessero la possibilità di spostarsi e lavorare anche fuori dall'Isola e riporta un privilegio dato dai barcellonesi ai corallari di Trapani, evidenziando come nella città iberica, oltre agli abitanti, nissuno possa lavorar del corallo che trapanese non fosse (Trapani nello stato presente profana e sacra opera divisa in due parti del P. Benigno da S. Caterina Agostino Scalzo intitolata alla Vergine di Trapani, parte I, Trapani profana, ms. del 1810 della Biblioteca Fardelliana di Trapani). Un'opera simile a quella in esame doveva essere pure quella inserita nell'elenco delle suppellettili d'argento di donna Felice Ventimiglia, inventariate e valutate dall'argentiere palermitano Francesco Bracco il 25 agosto 1693, descritta come un acquasanta di filograna d'argento invitata con rame dorato anche se non impreziosita dal corallo (cfr. R.F. Margiotta, Appendice documentaria, in M.C. Di Natale, R. Vadalà, Il tesoro di Sant'Anna nel museo del castello dei Ventimiglia a Castelbuono, Palermo 2010, p. 97). Inedita Rosalia Francesca Margiotta
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mer 18 Novembre 2015
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