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Reliquiario in corallo, argento e ottone dorato

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Descrizione

Reliquiario in corallo, argento e ottone dorato

Ha un piede semicircolare su cui si innalza un cespo fogliaceo rovesciato che serve da supporto ad una placca ovale al centro della quale è la teca vitrea per la reliquia. Questa è circondata da una fascia con motivi ornamentali bulinati chiusa da un registro con piccole volute in corallo; attorno un ampio fregio traforato, con ulteriori volute dorate, si arricchisce di foglie argentee e fiori in corallo e si chiude in basso con una conchiglia. Dimensioni: cm 31,4x19,6x11.Inizi del XVIII secolo Quest'opera si discosta nella sua composizione delicata e leggera dalla maggior parte dei lavori in corallo trapanesi dei primi del Settecento, epoca alla quale il presente lavoro dovrebbe risalire. Il modo in cui vengono descritti i fiori, accompagnati da steli e foglie in argento, composti con petali a rilievo di corallo che sembrano librarsi nell'aria, è più originale della maggior parte dei lavori siciliani anche se alcune cornici (o capezzali) come quella nel Museo Duca di Martina alla Floridiana di Napoli e quella in una collezione privata a Palermo (1), indubbiamente più ricche ma meno graziose, presentano fiori del genere di quelli che vediamo sul nostro lavoro. Quel che qui sorprende, e differenzia il presente reliquiario da opere ben note, è appunto questo senso di ariosità, forse derivato da una delle infinite stampe di fiori elaborate da maestri d'oltralpe. Dobbiamo anche mettere in risalto l'uso calibrato di soli tre materiali: argento, rame dorato e corallo, senza l'inclusione -come spesso accade ai primi del Settecento- di scaglie di madreperla o di tartaruga: si deve anche a questa studiata tricromia la grazia a cui si è accennato, non sempre caratteristica dell'arte siciliana. Sono poche le opere con ornamenti di corallo datate: una che fa al caso nostro risale al 1720, quando venne donata da tale Michele Messia de Prado, come attesta un'iscrizione sulla fronte. Si tratta di un reliquiario di San Francesco di Paola conservato a Palermo nella Fondazione Whitaker. E' l'opera più vicina alla nostra a noi nota nonostante alcune ovvie differenze che la rendono più ferma nella composizione(2). All'acquisto di questo lavoro il presente proprietario venne informato che esso proveniva dalla famiglia di Clemente IX, i Rospigliosi: questa tradizione orale risulta confermata dalla presenza finora non notata, nella cornice sotto la reliquia, di una losanga, figura araldica dello stemma Rospigliosi (inquartato d'oro e di azzurro a quattro losanghe dell'uno all'altro). E' d'altra parte noto che le grandi famiglie papali fra Sei e Settecento collezionarono lavori in corallo: i Colonna, ad esempio, possedevano, stando ad un inventario del 1714, due grandi gruppi con soggetti sacri e un'intera scarabattola, o vetrina, contenente numerosi oggetti in rame e corallo, compresi due reliquari (3). Anche i Pamphilj ebbero lavori del genere: in un inventario del 1666 del palazzo a Piazza Navona risultano menzionati alcuni crocifissi e un Sant'Andrea d'argento con rami di corallo(4). Il nipote di Urbano VIII, il Cardinale Francesco Barberini, acquistò e regalò oggetti siffatti verso gli anni Quaranta del XVII secolo: alcuni di essi erano stati approntati dal corallaro Vincenzo Renda, probabilmente siciliano, nato nel 1605 e che abitava verso la metà del secolo in via del Pellegrino a Roma (5). L' estrema eleganza della presente opera consente di proporre che essa sia stata eseguita a Roma anche se con l'intervento di un artigiano trapanese. 1 A. Daneu, L'arte trapanese del corallo, Palermo, 1964, tav. XXXII (cornice Museo Duca di Martina); M.C. Di Natale, Materiali preziosi dalla terra e dal mare, Trapani, 2003, p. 270 (cornice in collezione privata) 2 Più volte riprodotta: L'arte del corallo in Sicilia, catalogo della mostra,Trapani, Museo Nazionale Pepoli, 1986, cat. 167 p. 359; Di Natale, op. cit. alla nota precedente, p. 220 3 E. A. Safarik, The Colonna Collection of Paintings, Monaco-New Providence- Londra-Parigi, 1996, pp. 266, 278, 299 4 J. Garms, Quellen aus dem Archiv Doria-Pamhilj, Roma-Vienna, 1972, pp. 390, 391, 395 5 Archivio Segreto Vaticano, Archivio Barberini, Computisteria 67, c. 67 (queste notizie trovano riscontro, indipendentemente, nella voce su Vincenzo Renda nel volume di C.G. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia. Roma, Roma, 1959, vol II, p.3322009 Alvar González-Palacios
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mer 18 Novembre 2015
Milano
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