Mario Panzano. L’ultimo atto di un uomo che ha dedicato la sua vita [..]

Lodovico Caumont Caimi

Il 19 maggio scorso la sala delle aste di Castello Mackenzie era stracolma, come non accadeva da molti anni per le vendite di arte antica. L’atmosfera ricordava le aste genovesi dei primi anni ottanta, quando la folla si accalcava prima dell’apertura dei portoni per riuscire ad avere un posto a sedere.
Tra i presenti in sala molti vecchi clienti di Mario Panzano (1930-2014), diversi mercanti che in passato avevano venduto a lui delle belle cose e forse cercavano di ricomprarle, e le solite facce note, che non mancano mai alle vendite genovesi significative. 
Alle prime battute, si è subito capito che i collezionisti più giovani e agguerriti – tutti passati nelle sale del Castello o in via XXV Aprile nei giorni precedenti – stavano seguendo la vendita per telefono o “on line”. La delusione è apparsa subito evidente sul volto dei presenti non appena è stato chiaro che la speranza di poter comprare gli oggetti più rari e importanti alle cifre contenute indicate sul catalogo sarebbe stata vana.La vendita si è immediatamente avviata su un doppio binario, rimasto poi costante per l’intero pomeriggio. Gli oggetti di decorazione, che facevano da contorno nella galleria di via XXV Aprile, di valore principalmente estetico, scelti con il noto gusto di Panzano, venivano venduti tutti o quasi intorno alle stime, senza suscitare sorprese. Ma non appena toccava a uno dei numerosi rari e importanti oggetti presenti in catalogo, subito si accendeva una battaglia combattutissima, inizialmente tra le persone in sala, per poi finire quasi sempre tra i telefoni e il web, molto spesso con risultati veramente sorprendenti.
Tra gli oggetti provenienti dalla galleria spiccava per qualità ed eleganza una rara coppia di angoliere – in perfetto stato di conservazione – in violetto e bois de rose databili alla metà del secolo XVIII, con bronzi e fregi dorati originali. 
La scelta dell’utilizzo del marmo di Verona per i piani, del tutto insolito sugli arredi genovesi, la cui tonalità rosa si intonava perfettamente con il colore del legno della lastronatura, è tipica dei mobili più raffinati per cui i “bancalari” erano soliti usare marmi rari, non comuni sul mercato locale, a volte di recupero archeologico. Pure notevoli un tavolino da lavoro Luigi XV e alcuni comodini dalle perfette proporzioni e di raffinata esecuzione, che hanno ottenuto particolare successo per la rarità e forse anche per la facilità di collocazione dovuta alle misure contenute. 
Tra le cose non liguri, grande interesse ha riscosso la collezione di nove specchierine veneziane da toilette in lacca policroma, decorate in una vasta gamma di colori a volte con tocchi dorati, con scenette a cineseria o a fiori policromi, di un genere ricercatissimo in passato ed evidentemente ancora ambito dal collezionismo attuale.
Veramente degna di un piccolo museo era poi l’offerta delle maioliche di Savona, che da sempre sono state una delle specialità di Mario Panzano, con splendidi esempi anche di grandi dimensioni della produzione tra la metà del secolo XVII e la fine del XVIII, sia in bianco e blu sia policrome.
Tra gli argenti, vanno evidenziati un calamaio Luigi XVI del 1788 di elegante disegno, costruito con una lastra spessa perfettamente sbalzata, e una non comune acquasantiera del 1749 con l’immagine della Vergine Assunta, analoga ad altra esistente nelle collezioni della Banca Carige, a cui fu venduta da Panzano stesso nel 1972.
Il fatto che la vendita fosse un’asta “vera” e non semplicemente la liquidazione dello stock di magazzino di un mercante era testimoniato dalla presenza in catalogo di diversi oggetti custoditi da decenni nell’abitazione di Mario Panzano, uno di quei rari antiquari che conservavano per il proprio godimento personale alcuni degli oggetti più interessanti che gli era capitato di poter comprare. Tra le cose quindi inedite, mai viste prima neppure dai suoi migliori clienti, grande successo ha ottenuto un rarissimo comò genovese Luigi XV con intarsi floreali “alla francese” e splendidi bronzi dorati eseguiti espressamente per il mobile, in stato di conservazione perfetto, praticamente intonso, mai restaurato e rilucidato. 
Pure dalla sua abitazione provenivano una splendida coppia di dipinti di Bartolomeo Guidobono con soggetti grechettiani, eleganti e di belle misure, pubblicati sulla monografia di Mary Newcome, aggiudicati a un fortunato acquirente per una cifra molto conveniente, testimonianza di come i dipinti, anche di qualità, siano in fondo molto meno rari sul mercato di quanto lo siano i mobili e gli oggetti eccezionali.
Il risultato complessivo della vendita ha confermato l’impressione che stia nascendo una nuova generazione di collezionisti intelligenti, culturalmente preparata e in grado di comprendere il valore storico-artistico di certi oggetti, che si lascia consigliare nell’acquisto di pezzi rari e in stato di conservazione impeccabile. Questi nuovi collezionisti molto spesso conoscono bene il mercato dell’arte contemporanea e si rendono conto che, con cifre al confronto irrisorie, possono acquistare opere e oggetti antichi storicizzati e di grande valenza culturale, spesso unici. 
Sembra quindi che il mercato italiano dell’antiquariato si stia evolvendo sulla falsa riga di quello che è da molto tempo il mercato internazionale. Si allarga sempre più la forbice tra i valori delle cose più comuni e quelle rare e importanti. La grande maggioranza dei mobili e degli oggetti antichi, di semplice decorazione o in stato di conservazione non buono, oggi si possono acquistare a cifre così invitanti da diventare fortemente competitive rispetto anche alla più corrente produzione contemporanea di arredamento. Forte e deciso è invece l’interesse del collezionismo per i mobili e gli oggetti di grande qualità, con alle spalle un progetto preciso e un’esecuzione impeccabile, testimonianza della capacità tecnica e artistica del passato, meglio se con una provenienza storica documentata che ne permetta con precisione l’inquadramento culturale. La sempre maggiore rarità di opere con questi requisiti sul mercato, spinge la competizione di chi è in grado di cogliere la differenza, con risultati economici notevoli, se pur molto lontani dalle cifre del mercato dell’arte contemporanea, senza apparentemente una giustificazione logica.