Minoranza o Élite? Considerazioni su una raccolta di cere tra Barocco [..]

Carlo Peruzzo

Ho davanti agli occhi l’immagine della parete nello studio di Mario Praz dove, sopra il forte piano, è collocata la collezione di opere in cera, materia artistica allora poco indagata se non per il corposo libro Storia del ritratto in cera, un saggio di Julius von Schlosser, uscito in Germania nel 19111 e da poco tradotto in un’edizione italiana ampliata a cura di Andrea Daninos2. Osservando questa immagine non posso evitare una correlazione “sentimentale” con un altro gruppo di opere che compongono questo raro e raffinato compendio collezionistico, prodotte tra il XVII ed il XVIII secolo nella quasi totalità da ceroplasti italiani.
Ancora una volta, come un fiume carsico che con le sue acque purissime ritorna in superficie, dalle pieghe sommerse di un collezionismo colto riappaiono opere di primissima qualità che ritraggono papi dalle forme iper-realistiche, quadretti dalle vivide scene naturalistiche o allegorie religiose tradotte come vere e proprie nature morte, che, dialogando tra loro, si offrono al confronto con appassionati e studiosi.
La ceroplastica è un’arte antica, già praticata nelle epoche classiche e medievali, soprattutto con la realizzazione di figure votive, ma che, come testimonia Vasari3, durante il Rinascimento italiano, in particolare a Firenze e Venezia, vede nuovi impieghi nei campi della ritrattistica o nella produzione di soggetti mitologici e profani o licenziosi.
Ed è nell’ultimo decennio del Seicento che si svilupperà la modellistica anatomica soprattutto grazie all’opera del siciliano Gaetano Giulio Zumbo (1656-1701), che lavora a Firenze, Genova e Bologna, nella cui Università trova sede la rinomata scuola di anatomia umana.
Proprio in questa città operano nel XVIII secolo figure come Angelo Gabriello Piò (1690-1770), il suo allievo Filippo Scandellari (1717-1801), o Angelo Sarti, artisti ai quali Alvar González-Palacios ascrive alcune delle opere più rappresentative della nostra collezione come la Testa di Monaco (fig. 2) e il Ritratto di Papa Benedetto XIII, impreziosito da una custodia in legno riccamente dipinta (fig. 1).
Al fiorentino Giovanni Francesco Pieri (1699-1773), figura di primo piano in questa arte, sono attribuite la Maddalena penitente e la Crocifissione con angeli, mentre all’arte femminile di Caterina de Julianis, nata a Napoli verso il 1670, appartengono la ricca composizione con al centro san Cristoforo (fig. 3) e la commovente e intima Madonna con Bambino autografa.Opere del siciliano Matteo Durante sono la rappresentazione di Santa Rosalia in eremitaggio, firmata e datata 1663, e l’Estasi di San Francesco contenuta entro una bella cornice in bois de rose.
Al piacere della scoperta lascio le altre cere che compongono questo raffinato gruppo di opere, che saranno poste in vendita nella sede milanese di Palazzo Sebelloni il prossimo novembre; un’interessante e non comune occasione per confrontare, approfondire e comprendere un campo della produzione artistica che raramente compare in modo così significativo e organico nel panorama nazionale e internazionale e che, ancora una volta, ci spinge ad alcune riflessioni sull’indispensabile funzione del collezionismo nell’arte antica.
Un mondo, quello del collezionismo, che oggi può apparire sempre più minoritario, schiacciato dai fragorosi clamori e dagli impressionanti numeri economici dei nuovi campi delle arti contemporanee alimentati da voraci meccanismi influenzati dalle mode e dalle speculazioni economiche.
Quindi sicuramente una “vocazione minoritaria” ma altresì orgogliosamente elitaria, privilegio di chi sfugge alle regole delle mode e dei mercati per aderire a un mondo più recondito e depositario di saperi ed emozioni, intuizioni e giudizi, in un incontro tra passato e presente, tra curiosità e passione nell’organizzare il proprio sentire, determinato dalla necessità del comprendere oltre che del possedere.