MAESTRO DELL'ANNUNCIO AI PASTORI

Bianca Dolfin

L’indicazione critica di Maestro dell’Annuncio ai pastori nasce ufficialmente nel 1923, quando August L. Mayer – intervenendo a proposito della tela raffigurante l’Annuncio ai pastori, passata in quegli anni al museo di Birmingham – respinse l’attribuzione a Velázquez, rapportandola piuttosto all’ambito della bottega del Ribera. Ricordando quindi gli allievi del maestro individuati dal De Dominici nel 1743, quali Antonio Giordano, padre di Luca, Juan Do e Bartolomeo Passante, indica implicitamente che il nome del pittore vada circoscritto a questa rosa di artisti. Il dibattito venne ripreso poi da Roberto Longhi nel 1935, che, definendo il pittore superiore a Ribera, propose di identificarlo con il brindisino Passante.Il numero di opere attribuibili al Maestro dell’Annuncio ai pastori aumentò nel corso degli anni, così come la discussione sulla sua identificazione. Giuseppe De Vito è stato il maggior sostenitore di Juan Do come possibile artefice di tali opere. A partire da Un filosofo, venduto da Christie’s nel 1999, ha riconosciuto la firma del pittore in un monogramma presente nella tela e, alla luce di ciò, ha ricondotto al pittore anche altre scritte finora di difficile lettura: così nel da lui citato Vecchio in meditazione con cartiglio in mano e nel Filosofo stoico del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Come giustamente sottolinea Franco Moro, ardente sostenitore della tesi di De Vito, altri fattori contribuiscono a dissipare ogni dubbio. Lo stile del Do, infatti, è riscontrabile nelle caratteristiche dell’impasto pittorico – denso, compatto, con un marcato impiego del chiaroscuro – e nella scelta di figure imponenti, fisionomicamente simili a quelle di Velázquez e Zurbarán. Ma, soprattutto, la profonda cultura filosofica e la religione, che sembrano corrispondere al pittore, fanno confermare l’identificazione: ebreo di origine, nei soggetti strettamente connessi a temi cattolici, come negli Annunci e nelle Adorazioni, troviamo una chiave di lettura laica, con pecore e pastori protagonisti delle raffigurazioni, o con molte figure singole in meditazione sulla propria condizione umana, nell’accettazione della vita terrena.Di tutt’altro avviso è invece Achille della Ragione, che ritiene Juan Do un semplice replicatore delle opere di Ribera, anche a fronte della scoperta fatta nel 2008 nella cattedrale di Granada di un Martirio di San Lorenzo (firmata Juan Do e dove compare la firma in corsivo del maestro), con un’iconografia troppo rivoluzionaria per poter ricevere una qualsiasi committenza da parte della Chiesa o della nobiltà. Del Maestro dell’Annuncio ai pastori afferma: “La sua pennellata è ruvida e corposa, un ‘tremendo impasto’ che dà luogo a una percezione tattile del carattere dei personaggi raffigurati, in grado di esprimere in maniera esplicita gli stati d’animo e i pensieri più reconditi. Uomini e donne che, a differenza dei personaggi del Caravaggio, prelevati letteralmente dai vicoli napoletani, sembrano provenire dalla dolorosa realtà delle campagne, dove le condizioni di vita di gran parte della popolazione erano simili a quelle dei servi della gleba”. Forzando l’interpretazione, sceglie di identificare nel Maestro una sorta di sostenitore ante litteram della denuncia della condizione delle classi popolari e dei contadini: un’introspezione sulla questione meridionale, con un riscatto sociologico simbolicamente rappresentato dall’annuncio ai pastori. Un’iconografia religiosa da leggere, dunque, interamente in chiave laica.
Possiamo quindi dirci così certi che sia proprio il Do il magistrale interprete delle opere del Maestro dell’annuncio ai pastori? Ciò che trasversalmente unisce la critica è il riconoscimento dell’altissimo livello qualitativo delle opere del Maestro, uno dei più sensibili interpreti del naturalismo nell’ambito della pittura ispanico-napoletana di metà Seicento. 

Juan Do (1604-1656)

Juan Do, o Giovanni Do che dir se voglia, fu un pittore di origine spagnola – probabilmente nato a Xàtiva – attivo nella prima metà del Seicento a Napoli, dove divenne una delle figure di spicco della sua epoca. Molto scarse sono le notizie sulla sua vita: nel 1616 fu ammesso al Colegio de pintores di Valencia, dove divenne allievo di Jerónimo de Espinosa.Attestata è la sua presenza a Napoli già a partire dagli anni venti, dove nel 1626 sposò Grazia De Rosa, sorella del pittore Giovanni Francesco, detto Pacecco. Questo legame testimonia il rapporto che univa Juan Do all’entourage caravaggesco dei pittori napoletani, quali Filippo Vitale, Giovanni Battista Caracciolo e Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto. Proprio a Ribera fu associato in particolare un secolo dopo da Bernardo De Dominici, che lo considerava un suo allievo, con uno stile talmente simile al maestro da poter indurre in errore circa l’attribuzione. Juan Do, tuttavia, non fu solo copista dello Spagnoletto, come sottolinea De Dominici, ma si possono anche individuare sue opere autonome, orientate più a uno stile iberico simile ai dipinti di Velázquez: ad esempio, la Natività della chiesa napoletana della Pietà dei Turchini (oggi nel Museo Nazionale di Capodimonte), l’unica a lui unanimemente attribuita. Indiscutibilmente fu una delle figure fondamentali per lo sviluppo della pittura napoletana della prima metà del Seicento, ma l’assenza di opere firmate o documentate con precisione rende dubbiosa qualsiasi attribuzione; motivo per cui ha avuto un ruolo centrale nel dibattito sull’identificazione del cosiddetto Maestro dell’Annuncio ai pastori.Sembra che Juan Do e la sua famiglia siano morti nella terribile pestilenza che travolse Napoli nel 1656.