LA PIETÀ dI FRANCESCO MESSINA ALLA BIENNALE DI VENEZIA

LA PIETÀ dI FRANCESCO MESSINA ALLA BIENNALE DI VENEZIA - Ottobre 2016 - n. 11
Gianni Rossi

Per noi che viviamo in una società dominata da immagini, è facile visualizzare la scena: siamo a Genova, in Galleria Mazzini, al Caffè degli Artisti, il salotto buono di allora, in una sera di novembre, agli albori degli anni venti del secolo scorso.
A uno dei tavoli siede da solo un uomo maturo, ostenta sicurezza nel suo modo pacato di fumare, di sorseggiare il suo bianco con l’amaro. Il suo nome è Agostino Vigo (1863-1942). Vive a Voltri, una cittadina a ponente, ricca di manifatture, di cantieri navali, di cartiere.

Ricco è anche lui! Deve tutto alla iuta, al commercio dei sacchi di iuta; la guerra conclusa da qualche anno e le forniture per l’esercito regio: una solida avventura commerciale, l’accumulo di una grande fortuna. Vicino a lui un tavolo affollato di giovani... Ne riconosciamo alcuni: Camillo Sbarbaro, Angelo Barile, Gugliemo Bianchi, Adriano Grande, Eugenio Montale, Francesco Messina e una ragazza giovanissima di nome Esterina.

Le conversazioni animate si incrociano, si parla di arte, di letteratura, le esperienze francesi, le suggestioni di una bohème di provincia tuttavia creativa e vitale.
Ci piace immaginare che sia andata così, che in questo modo sia nata la curiosità del commendatore Vigo verso un mondo tanto estraneo alla rude concretezza degli affari. È possibile che tra il fumo di questi tavoli Agostino Vigo e Francesco Messina si siano parlati, abbiano stabilito una relazione di stima e di interesse reciproco: la nascita di una piccola collezione privata...