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Ernesto Fiori (1843-1894) Monumento alle Cinque Giornate di Milano, 1895

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Description

Ernesto Fiori (1843-1894) Monumento alle Cinque Giornate di Milano, 1895

bronzo parzialmente dorato, rame, marmo
cm 67x23x20

Il bronzetto è una riduzione del monumento alle Cinque Giornate di Milano, opera di Giuseppe Grandi, realizzato in bronzo patinato e parzialmente dorato, con il fusto dell’obelisco in rame e la base in marmo. Proveniente da una collezione privata di Milano, si presenta in buone condizioni di conservazione, anche se registra due piccole scheggiature sulla base, la perdita della tromba della figura della Fama e di alcuni raggi della stella di coronamento, inserita nella sommità tramite un perno amovibile.
Le vicende che portarono all’erezione del monumento sono note e sono state oggetto di ricostruzioni dettagliate anche in anni recenti. Già all’indomani delle gloriose giornate che, dal 18 al 22 marzo del 1848 avevano portato la popolazione di Milano a sollevarsi contro l’ormai intollerato dominio austriaco cacciando l’esercito dalla città, il Governo Provvisorio aveva decretato, il 6 aprile, di erigere un monumento che onorasse la gloriosa rivolta, sul luogo di Porta Tosa, ribattezzata per l’occasione Porta Vittoria, ma il successivo ritorno degli austriaci, seguito alla fallimentare Prima guerra d’indipendenza guidata da Carlo Alberto di Savoia, costrinse ad abbandonare questi propositi. L’idea mai sopita poté essere recuperata solo dopo l’annessione della Lombardia al Piemonte (1859), inizialmente dedicando ai martiri la seicentesca colonna del Redentore, o del Verziere, sulla cui base vennero apposte le targhe con i nomi dei caduti. Nel 1873 i giornali di Milano, su iniziativa del “Pungolo” aprirono una sottoscrizione pubblica per il monumento, il cui concorso fu infine indetto dal Comune nel 1879, con lo stanziamento di mezzo milione di lire, frutto di sette anni di sottoscrizioni per una nuova porta civica che sostituisse il modesto arco piermariniano e celebrando i gloriosi fatti del 1848. Opera di Luca Beltrami, il progetto vincitore -un’alta torre impostata su un arco- suscitò tali polemiche tra l’opinione pubblica, i Comitati dei Veterani e la Commissione stessa per il monumento, da costringere la Giunta a bandire un nuovo concorso, a cui prese parte, inaspettatamente, anche Giuseppe Grandi: “il concorso, è vero, era per un’opera architettonica – un arco – ma il Grandi diceva: ‘che importa! Se il mio progetto è bello e sentito dal pubblico, scultorio o architettonico, si imporrà” ricorderà più tardi Ferdinando Fontana. E infatti il bozzetto di Grandi, presentato con il motto “Cinque Giornate”, riscosse un enorme successo, di pubblico quanto di critica. “Egli ha gettato in concorso un pezzo mastodontico, un oggetto d’arte di un valore eccezionale”, “la novità del concorso è un bozzetto di Giuseppe Grandi, la più bella cosa che egli ha modellata sinora, un’opera d’arte originale tutta vita e animazione”, “il vero, il solo monumento possibile, quello del piccolo Grandi, che è riuscito a schiacciarli tutti”, scrissero i giornali, tanto che il concorso venne dichiarato nullo e l’incarico affidato a Grandi, anche grazie all’appoggio di Camillo Boito e del sindaco Belinzaghi. Firmato nel 1882 con l’improbabile impegno a finire l’opera per il 1886, Grandi dedicherà quattordici anni, gli ultimi della sua vita, al monumento, opera della maturità e capolavoro della sua carriera, destinato a restare forse il monumento scultoreo più importante e originale dell’Ottocento italiano. Lo scultore non risparmiò fatica né denaro: modificò il bozzetto iniziale allungando l’obelisco e sostituendo l’altare sommitale con una stella, sostituì il comune granito di Baveno del basamento con un pregiato marmo di Svezia, realizzò il fusto dell’obelisco interamente in bronzo anziché in pietra come richiesto. Progettò la piazza, la cancellata, la cripta, la sua porta in bronzo e financo la chiave che la apre, acquistò uno studio più grande all’Acquabella, impiantò una fonderia per fondere da solo i bronzi, realizzando ogni figura con una gittata unica, invece che in pezzi separati. Per scrupolo di verità modellò ogni figura con una modella diversa, acquistò un’aquila in Austria e andò fino ad Amburgo per procurarsi un leone da studiare dal vivo, il mitico Borleo, che divenne presto un elemento di colore dello studio di Grandi e oggetto di satira da parte della stampa cittadina. Pur se attentamente controllati dalla Commissione presieduta dallo stesso Beltrami, i lavori procedettero a rilento: alla fine Grandi completò il monumento nell’autunno del 1894, ma non riuscì a vedere l’inaugurazione del suo sospirato capolavoro, prevista per il marzo successivo, in occasione del quarantasettesimo anniversario delle Cinque Giornate, perché morì il 30 novembre 1894, a cinquantuno anni.
La morte dell’artista fu molto sentita sia dalla popolazione della nativa Valganna, sia da quella di Milano, che avrebbe voluto seppellire lo scultore al Cimitero Monumentale o, ancora meglio, nella cripta del “suo” monumento, come richiesto dallo stesso Grandi. Tanto che l’8 dicembre, due giorni dopo il funerale, il monumento venne eccezionalmente scoperto per alcune ore, per poi essere ricoperto fino al 18 marzo 1895.
Quel giorno il monumento fu ufficialmente inaugurato con una celebrazione che durò fino al 22 marzo, ultima giornata della vittoriosa rivolta: furono cinque giorni di grandi festeggiamenti, caratterizzati da una enorme partecipazione popolare e da una serie infinita di iniziative, di cui i quotidiani dell’epoca resero conto con minuzia di particolari in articoli, immagini, pubblicazioni dedicate ed edizioni straordinarie, descrivendo il grande corteo e il discorso del sindaco Vigoni e dei veterani, la solenne traslazione delle salme dei martiri dalla cripta della chiesa dell’Annunciata all’Ospedale Maggiore e dalla chiesa di Santa Maria del Carmine nel cripta del monumento, il tiro a segno e i sui premi, la fiera di Porta Vittoria e le ricche luminarie, la composizione di un dramma in milanese e della Fantasia eroica del maestro Guarnieri.
Ciò che assicurò all’opera questo successo fu la capacità di Grandi di equilibrare il dato reale e quello simbolico, il naturalismo e l’estrema libertà e fantasia della composizione, che recuperava il movimento e la dinamicità del barocco: “l’idea è potente; intorno ad un piedistallo […] vivono, per così dire respirano, si agitano, le allegorie delle Giornate ansiose ed eroiche. L’autore (cosa tanto difficile e rara) seppe destare nel simbolo la passione della realtà, senza scendere per ciò dall’altezza della rappresentazione ideale del fatto, anzi incarnando codesta rappresentazione con fantasie liberissime”. Grandi aveva creato un sistema simbolico complesso ma di immediata comprensione, rappresentando ogni giornata in una figura femminile, con una capacità di restituire l’individualità di ognuna e preservando il valore dell’insieme, che trova una testimonianza di rara efficacia nelle parole di Fontana: “rugge il leone a svegliare la coscienza di un popolo, ad incutere rispetto ai tiranni. Vola la Prima Giornata, con un sasso nella destra, a suonar la campana d’allarmi – la Prima giornata, incarnata in una figura di donna poderosa e nervosa al tempo stesso, la vera Dea delle barricate, dalla treccia opima, che le guizza sul dorso ignudo come un serpente nell’ira. Piange la Seconda Giornata sui morti e sui feriti. Accorrendo fra le pietre smosse e gli ingombri d’una barricata […] urla la Terza Giornata, dalle proporzioni colossali, chiamando ad un impeto supremo tutti i cuori e tutte le armi; […] S’aderge al cielo la Quarta Giornata, quasi sollevata dal soffio della speranza. E dà fiato alla tromba vittoriosa la Quinta, intanto che, presso di lei, colle ali aperte, l’aquila unisce il suo grido allo squillo, come in atto di spiegare il volo per recare al modo questa santa e gloriosa notizia: la giustizia ha trionfato!”.
Il bronzetto in oggetto occupa un posto particolare all’interno della storia del monumento e costituisce un momento saliente della sua fortuna. Riemerso recentemente da una collezione privata milanese, era ignoto agli studi, sia a quelli d’epoca che a quelli più recenti, dedicati tanto allo scultore quanto alle Cinque Giornate e infatti non figurò alle principali occasioni espositive legate a Grandi e al monumento, dalla piccola mostra monografica dedicata allo scultore nei locali della Poliambulanza nel marzo del 1895 alle mostre del cinquantenario e poi del centenario delle Cinque Giornate, fino alle più recenti esposizioni dedicate alla Scapigliatura.
La scultura rappresenta con grande precisione il monumento nel suo aspetto definitivo: non quello del bozzetto presentato al concorso, disperso ma noto dalle fotografie d’epoca; neppure quello delle fasi intermedie, come la fusione in bronzo del grande bozzetto conservato al Museo del Risorgimento di Milano. Non si tratta nemmeno di uno studio avanzato dell’opera, di un bozzetto definitivo o comunque di un materiale in qualche modo preparatorio, “precedente” all’opera, ma invece di un raffinato d’après in miniatura del monumento. Lo conferma la precisione dei dettagli e la fedeltà alle proporzioni d’insieme: non solo le figure, ma anche le decorazioni riproducono, pur con qualche semplificazione, quelle del monumento finito, nelle fasce a motivi geometrici, nei rosoni, nella terminazione fitomorfa del coronamento.
La sua datazione è quindi da collocare verso la fine dei lavori per il monumento, se non direttamente, come credo, alla sua inaugurazione, all’interno delle manifestazioni, private e popolari, oltre che pubbliche ed ufficiali, che accompagnarono il suo scoprimento. Il 18 marzo del 1895, infatti, le pagine del quotidiano “Il Secolo” riportano, sommersa tra la descrizione delle celebrazioni, la notizia che "il signor Ernesto Fiori, noto industriale, ha esposto all'ottagono della galleria Vittorio Emanuele in un nuovo negozio d'oreficeria, una riproduzione in bronzo del monumento delle Cinque Giornate, dell'altezza d'un metro circa, nonché una medaglia commemorativa che reca da una parte il monumento e dall'altra le figure allegoriche che lo adornano". È probabile che la scultura in oggetto sia proprio la “riproduzione” esposta nel 1895. Non si conoscono infatti, né direttamente né attraverso le fonti, altre riproduzioni di questo genere, e d’altra parte il nostro esemplare è del tutto coerente con la pur laconica descrizione, ammettendo una certa comprensibile approssimazione nella misura complessiva, che forse in origine poteva essere aumentata da una campana di vetro come era d’uso fino ai primi del Novecento per oggetti simili. Continuatore dell’attività paterna –il padre Antonio aveva partecipato all’Esposizione Italiana a Milano nel 1881- Ernesto Fiori era ben inserito nell’ambiente milanese di fine secolo, ma godeva anche di una certa diffusione all’estero: specializzato nella produzione di oreficerie e di lavori in argento e in metallo bianco, realizzati nei laboratori di Milano, nei pressi di Porta Venezia, e di Chiari, era consigliere della Scuola di disegno speciale per gli allievi della Società degli Orefici, fondata nel 1872 a Milano per “il progresso e l’incremento dell’industria e incoraggiamento dell’istruzione degli allievi orefici”. Aveva preso parte all’Esposizione di Torino del 1884, vincendo la medaglia d’argento per l’oreficeria, e a quella Universale di Parigi del 1889, dove si era conquistato al medaglia d’oro, grazie “agli studii da lui fatti e dei dispendi sostenuti per dare sviluppo ad una nuova industria nazionale”.
Più che un’opera di scultura il bronzetto è a tutti gli effetti un’opera di oreficeria, non solo per le dimensioni ma anche per i materiali e la lavorazione, che escludono anche un intervento di Grandi nell’esecuzione: nulla di simile figura tra le opere realizzate dallo scultore ricordate dai contemporanei, ma soprattutto al posto della sprezzatura scapigliata che fa vibrare le superfici come dipinti di Tranquillo Cremona caratteristica di Grandi, i bronzi sono qui rifiniti con precisione e cesellati con una cura più da orafo che da scultore. Lo stesso montaggio è difficilmente opera di uno scultore, che avrebbe modellato e fuso l’insieme in un unico blocco, mentre qui le singole figure sono fuse singolarmente e accuratamente montate alla base, con un sistema che permetteva un controllo maggiore dei dettagli e una minuzia sconosciuta alla scultura in grande. Infine l’orafo conferisce maggior rilievo plastico agli accessori, come le fronde di quercia sullo scudo, che nel monumento lo scultore riassorbe maggiormente nell’insieme, e meno a certi sottosquadri di evidente forza scultorea, come la treccia della Campana a martello, che nel monumento si stacca con violenza dal corpo della giovane e qui è attaccata alla schiena, come nel modello in gesso della Galleria d’Arte Moderna. Tutti i dettagli sono poi resi con minuzia attraverso un accurato lavoro di cesello, per riprodurre in miniatura i particolari e la differenza dei materiali scolpiti, dalla levigatezza degli incarnati alle pieghe dei panneggi, dalle unghie minuscole sulle mani levate alle nappe, dall’arruffarsi delle penne dell’aquila fino alla superfice scabra della pelliccia del leone e alla sua folta criniera. Ma indubbiamente l’elemento più originale della lavorazione è la serie di 392 nomi incisa a punzone sul fusto dell’obelisco, realizzato nel più tenero rame invece che nel duro bronzo proprio per facilitare la punzonatura: i nomi vi compaiono interamente, e con lo stesso carattere del monumento. Proprio il numero dei caduti costituisce un ulteriore elemento che riporta la datazione in prossimità dell’inaugurazione. La cifra ufficiale, infatti, variò negli anni: se i nomi iscritti sulla Colonna del Verziere sono 352, nel 1884 la Commissione per la Medaglia Commemorativa delle Cinque Giornate stilò un elenco che divenne ufficiale, comprendente 392 nomi, i quali saranno poi iscritti sul monumento –e riprodotti sul nostro bronzetto- ma già nel 1895 Arturo Faconti pubblicò un elenco di 422 nomi, destinati ad aumentare nell’elenco stilato da Vittore Ottolini in occasione del centenario delle Cinque Giornate, comprendente 432 nomi.
Questa perizia tecnica è pari alla preziosità dei materiali utilizzati, con una varietà tipica dell’oreficeria: sulla base di lucidissimo marmo nero –forse un pregiato pezzo di nero del Belgio- la struttura architettonica del monumentino è realizzata in bronzo patinato e accuratamente tornito, su cui spicca la brillantezza delle dorature. Anche le figure del monumento avevano, in origine, delle parti dorate, e in più Grandi differenziò la lega del bronzo delle figure, più chiara e dorata, da quella utilizzata per le parti architettoniche, più scura e tendente al verde.
Il bronzetto è un testimone unico della fortuna del monumento di Grandi, non solo come rappresentazione degli ideali risorgimentali ma anche come opera d’arte: nonostante la perdita di molte opere dopo la morte di Grandi, esistono infatti numerosi materiali preparatori del monumento, dal già citato modello fuso in bronzo alto due metri e mezzo ai modelli in gesso a grandezza naturale fino al grande modello in scala 1:1 del busto della Terza Giornata utilizzato per la fusione, tutti donati nel 1913 da Benigno Grandi, fratello dello scultore, alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, insieme ad altri modelli e bozzetti; viceversa non si conoscono riproduzioni, copie, derivazioni del monumento ad esclusione di medaglie commemorative e cartoline. Una situazione dovuta in parte alla vicenda personale di Grandi, che morto prima dell’inaugurazione non ebbe modo di sfruttare la fortuna del monumento, eseguendone repliche e inviandole alle esposizioni, in parte al forte valore simbolico del monumento stesso, che in breve oscurò la sua importanza artistica.
Miniatura preziosa lontana dalla replica seriale, il bronzetto è un raffinato pezzo unico destinato alla ricca borghesia milanese, che affermava così la propria adesione agli ideali risorgimentali che avevano portato all’unificazione dell’Italia ma rimarcava anche il ruolo primario di Milano in questo processo, la sua autonomia e la sua statura di capitale morale, che la città andava costruendosi dopo il triplice cambiamento della capitale del regno e l’improvvisa perdita di importanza politica.

L’opera è stata redatta dal professor Omar Cucciniello
Live auction 235

The Art of Bronze

thu 3 December 2015
Milan
SINGLE SESSION 03/12/2015 Hours 18:00
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