Pietro Testa – pittore, disegnatore e incisore – ebbe vita breve poiché morì suicida nelle acque del Tevere a soli trentotto anni nel 1650. Fu artista di forte spessore filosofico, ma di temperamento oscuro e di ardua lettura iconografica. Fu allievo di Domenichino e di Pietro da Cortona, trascorse buona parte della sua vita a Roma, con Nicolas Poussin r François Duquesnoy durante la stagione del Barocco trionfante. Testa incarna la figura dell’artista di forte riflessività intellettuale, che usa il linguaggio visivo per sviluppare contenuti di origine letteraria, filosofica e religiosa. L’obiettivo di coniugare teoria e pratica nella creazione artistica, caratterizzò la personalità di Testa: da raffinato e ingegnoso artigiano divenne uomo di studio appassionato delle ‘arti della matematica’ e lettore della filosofia antica. Consultava gli scritti di Alberti, Armenini, Lomazzo, Kircher e Leonardo e i trattati di Platone, Aristotele, Euclide e Vitruvio, realizzava figurazioni sia profane che religiose dando corpo ad ardite allegorie intellettuali. Per questo lo si colloca nel novero degli “artisti maledetti” del Seicento – nel senso di artisti ribelli alla norma e al ruolo -: insieme a Salvator Rosa, Jacques Callot, Giovan Benedetto Castiglione, Pier Francesco Mola.