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Giovanni Serodine (Ascona 1600 - Roma 1630)
San Gerolamo

€ 50.000,00 / 60.000,00
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Giovanni Serodine (Ascona 1600 - Roma 1630) San Gerolamo

olio su tela, cm 63x48
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Questo dipinto va ad accrescere le nostre conoscenze su un pittore il cui catalogo è ancora poco assestato, nonostante che al suo autore sia da tempo riconosciuto un ruolo centrale nella storia della pittura italiana del primo Seicento, e in particolare di quella più sinceramente caravaggesca. Artista defilato, come molti maestri dell’area dei laghi lombardi giunti a Roma a cavallo tra Cinquecento e Seicento in cerca di ingaggi, Serodine segue le vie dell’emigrazione verso l’Urbe intraprese dai propri familiari: il padre Cristoforo, mercante di vini e ‘oste’, vi è radicato fin dalla fine del Cinquecento, mentre uno dei suoi fratelli, Giovanni Battista, esercita con qualche successo il mestiere di scultore. Forse, proprio come scultore, Giovanni lo affianca brevemente prima che, nel 1622, sia registrato per la prima volta a Roma come pittore: un mestiere che non abbandonerà più fino alla fine del suo breve percorso biografico, che si può ripercorrere nella più aggiornata sintesi delle nostre conoscenze storico-documentarie sul pittore e la sua famiglia (Serodine nel Ticino, catalogo della mostra [Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, Rancate, 31 maggio – 4 ottobre 2015] a cura di G. Agosti e J., Stoppa, Milano 2015, pp. 9-34). Roberto Longhi, attento a tracciare, anche solo per brevi lampi illuminanti, i percorsi stilistici di molti pittori attratti nell’orbita di Caravaggio nei primi trent’anni del Seicento, ha definito il suo profilo e il suo catalogo essenziale, in gran parte ancora oggi da confermare. Tra le righe del suo intervento su Caravaggio e la sua cerchia (1943), in un articolo monografico del 1950 riproposto con minime varianti in un libro dedicato a Serodine nel 1954, emerge la fisionomia di un pittore capace di dialogare, senza timidezze, con il tardo Caravaggio, con Orazio Borgianni, con i neerlandesi a Roma, con Ribera e con Valentin. Questa mezza figura potrebbe facilmente entrare a fare parte di una galleria di vecchi scarmigliati del pittore ticinese: con quella stesura a strappi, sempre vigorosa, mai leziosa, e quella materia mobile e luminosissima, con effetti di luce ‘brucianti’ sul volto. La stesura filamentosa e vibrante con la quale sono realizzate le mani del santo, di una consistenza ruvida e di forte fibra, trovano una perfetta consonanza nell’analogo dettaglio del dottore seduto al centro nel Cristo tra i dottori del Musée du Louvre, un dipinto che è entrato a far parte del catalogo del pittore solo a partire dagli anni Ottanta del Novecento, e di cui si è scoperta la provenienza antica da casa Mattei, una famiglia interessata a Caravaggio e ai suoi seguaci, dove il quadro ora al Louvre era esposto accanto ad altri celebri capolavori del pittore, dal Tributo della moneta oggi ad Edimburgo, al Distacco di San Pietro e San Paolo condotti al martirio della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini. I quadri Mattei sono attestati dai documenti al 1625, e questo dipinto non si dovrebbe allontanare di molto da quella data. Le mani di San Gerolamo afferrano saldamente il teschio con un atto concreto degno di un plasticatore al lavoro davanti ai nostri occhi. Il santo infervorato nella preghiera oscilla nello spazio in equilibrio instabile, flettendo il corpo e la testa all’indietro, per guardare verso il Cielo, ma mantiene solida la presa sul simbolo della vanità della vita terrena, posto di fronte a sé, ma anche al cospetto di chi guarda, come memento. In quel giro d’anni, intorno al 1625, verrebbe da evocare a confronto, per intelligenza compositiva e senso spettacolare dell’arte dello scorcio, Guercino: a cui certo non rimandano invece le stesure strapazzate. Serodine, al contrario del maestro di Cento, interpreta però la luce in senso più propriamente caravaggesco, come ci ricorda il fascio direzionato che attraversa il dipinto irrompendo dall’alto a sinistra. Il carattere espressivo fortemente nordico di questo dipinto è quello di molti quadri del maestro ticinese, anche di quelli più maturi, come il celebre Ritratto di Cristoforo Serodine (1628) conservato a Lugano, avvicinato in molti studi, e a ragione, alle prove di Frans Hals e di Rembrandt. Lì Serodine, dipingendo molto liberamente la figura autorevole e severa del padre, è Rembrandt prima di Rembrandt, come scrisse Longhi nel suo volume del 1954 dedicato al pittore di Ascona. Alessandro Morandotti
Live auction 343

Old Masters Paintings

wed 30 May 2018
Genoa
SINGLE SESSION 30/06/2018 Hours 15:00
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