Il dipinto documenta molto bene la fama che Luca Cambiaso, singolare ed estroso pittore, riscosse non solo tra i contemporanei, largamente corteggiato all’epoca dalla corte estense, da Caterina II e da Cristina di Svezia, ma anche tra i posteri. La critica moderna, non ha mancato, infatti, di appassionarsi a quel “cubismo in inere” scoperto dalla sua produzione grafica, finendo per farne un visionario ante-litteram. Genovese di nascita, devoto ai dettami della Controriforma, il Cambiaso si esibisce qui in uno straordinario sperimentalismo luminoso: la luce violenta sbatte sugli incarnati, gli sgherri emergono dall’ombra, i toni marezzati delle vesti mandano bagliori iridescenti e la tavolozza terrosa e bruciata si innesta in quel fertilissimo retroterra culturale lombardo che caratterizzerà la produzione delle generazioni a venire, da Cairo a Cerano, da Feria a Barbelli. Siamo intorno all’ottavo decennio del Cinquecento, quando Cambiaso “abbandona le ricchezze pittoriche e i tocchi suadenti degli anni precedenti” (A. Manzitti) per rincorrere un rinnovato equilibrio compositivo, abbassando i toni di qualche grado, smorzando le atmosfere e misurando la pennellata nel lento dipanarsi delle forme. Sembra quasi si prepari ad affrontare la corte di Spagna, che prima di lui aveva accolto e sommamente ammirato il “tenebrismo” dell’ultimo Tiziano, e che nel 1583 lo farà per volontà di Filippo II pittore di corte e lo manderà sui ponteggi dell’Escorial. Analoga alla nostra tela, si conosce la versione del Blanton Museum of Art di Austin (Suida Manning, Suida 1958, pag 161, Magnani 1995 p 270 nota). Rispetto al dipinto texano, il nostro sembra tuttavia registrare lo scarto di una manciata di anni e una virata più decisiva in chiave notturna, precorrendo certi risultati del Caravaggio. E non è improbabile che il Merisi si sia lasciato affascinare dalla maniera del Nostro, uno degli autori prediletti dalla quadreria di Vicenzo Giustiniani, fondamentale committente del pittore lombardo.