Di questo soggetto, evidentemente caro al De Ferrari, si conoscono altre due più tarde versioni, una collocata nel 1665 nella cappella dedicata a San Bernardino, nella chiesa dell’Annunziata, e l’altra apparsa nella mostra sulla pittura genovese allestita nel 1969 a Palazzo Bianco, delle quali soprattutto la prima evidenzia chiare derivazioni da questa. La quale, da riferire alla seconda metà degli anni ’30, è emblematica del momento in cui la pittura genovese, e quella del De Ferrari in particolare, tende ad affrancarsi da quanto espresso dalle generazioni precedenti, per ingentilire i caratteri della propria pittura, recuperando le delicate trasparenze e le lievi velature che avevano caratterizzato le opere di VanDyck. Sono gli anni in cui il De Ferrari abbandona i caratteristici impasti materici derivatigli dall’alunnato presso lo Strozzi, per rendere più liquide e leggere le proprie pennellate, recuperando le delicate trasparenze e le rapide lumeggiature con cui il grande pittore fiammingo impreziosiva le sue opere Camillo Manzitti