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Giovanni Francesco De Rosa (Napoli 1607-1656)
Lot e le figlie

€ 15.000,00 / 20.000,00
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Giovanni Francesco De Rosa (Napoli 1607-1656) Lot e le figlie

olio su tela, cm 115,2x152,2, cm 138x176
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Bibliografia Comparativa V. Pacelli, Giovan Francesco de Rosa detto Pacecco de Rosa. 1607-1656, Napoli 2008. Vincenzo Pacelli, nella sua fondamentale ricostruzione dell’opera di Pacecco de Rosa, definisce l’artista napoletano “poeta del colore, che ha compreso la struttura e la capacità di resa di ogni colore, ma anche la forza dei bianchi, ricavati dal bianco di piombo” (Pacelli, 2008, p. 75). Gli azzurri, i rossi e i gialli non sono mai usati totalmente nei dipinti di Pacecco ma con la sapiente capacità di graduare le tinte, che riesce ad accostare con gusto finissimo. Potrebbe bastare solo questa breve presentazione ad attribuire in maniera inequivocabile questo Lot è le figlie a Giovan Francesco de Rosa. I confronti con altri lavori dell’artista, l’analisi dei dettagli, la scelta del soggetto conducono comunque verso riflessioni che rinforzano la paternità dell’opera, definendone altresì l’ambito cronologico. Il dipinto rappresenta il momento in cui le figlie convincono Lot a bere vino (Genesi 19, 31 – 36), dopo che l’uomo e le due figlie, sfuggiti alla distruzione di Sodoma e Gomorra voluta da Dio, cercarono rifugio prima nella città di Zoar, quindi in una caverna. In realtà, la figlia maggiore ha già fatto bere il padre che mostra uno sguardo poco virile e privo di autorelovezza, evidenziando così il suo stato di torpore. I giochi di sguardi tra il padre e una delle due figlie, che ancora lo invita a bere mostrandogli la brocca, e l’altra figlia che, sempre tenendo in mano una brocca, rivolge lo sguardo verso lo spettatore, costruiscono il raffinato filo narrativo del dipinto. L’assegnazione a Pacecco è supportata dalle strette affinità che esistono con molte delle sue opere della fine degli anni ’30 e l’inizio del decennio successivo, quando l’attenzione si rivolge sia al colore, sia ai molteplici elementi decorativi che rendono più elegante e preziosa la sua opera. Le accennate armonie cromatiche, l’omogeneità nell’uso dei colori e nella impaginazione delle scene, il drappeggio diafano delle vesti, il preziosismo di piccoli ma significativi particolari rendono questo dipinto un perfetto esempio di concisione narrativa e formale. In questi anni le tele del de Rosa sono caratterizzate da vesti ampiamente scollate in quadrato e le camicie bianche, eleganti, spiccano per la qualità del tessuto e dalla costante la presenza di gioielli – fili di perle, bracciali, collane d’oro con rubini e smeraldi – che hanno la scopo di arricchire la composizione e di far risaltare la purezza dell’incarnato delle modelle. I monili sono costituiti da placche d’oro, assemblate tra loro, con gemme incastonate e nastrino di chiusura, secondo un genere allora diffuso in Italia. Il bracciale indossato da una delle figlie di Lot è analogo a quello della Giuditta (cfr., idem, p. 308, n. 40), della Susanna (cfr., idem, p. 309, n. 41) e della moglie di Putifarre (cfr., idem, p. 296, n. 27) in collezione privata emiliana. Anche il merletto, sofisticato elemento decorativo, presente nel bordo frangiato della camicia di una delle figlie di Lot, è un particolare che ritorna spesso nelle opere di Pacecco come nella Santa Barbara ((cfr., idem, fig. 92), nelle giovani figlie di Lot (cfr., idem, p. 358, n. 96) e nelle varie Rebecca al pozzo (cfr., idem, p. 307, n. 39). Il confronto con due redazioni di Lot e le figlie, eseguite in collaborazione con Filippo Vitale (cfr., idem, pp. 274-276, nn. 2, 3), conforta la sola attribuzione a Pacecco, nonostante l’impianto compositivo sia il medesimo. Nella presente versione non appare l’intreccio tra la mano sinistra di Lot e la destra della figlia; i panneggi delle vesti hanno perso quella tipica morbidezza vitaliana per un andamento fratto, tipico della produzione pacecchiana più matura; le figure sono qui inquadrate di fronte al paesaggio in fiamme reso con i suoi morbidi colori; infine, il modello per Lot non è quello seguito per le due redazioni Vitale-Pacecco, ma quello del Mosè che fa scaturire le acque (collezione privata), databile tra la fine degli anni ’30 e l’inizio dei ’40 (cfr., idem, p. 303, n. 34). Si propone la medesima datazione per il nostro dipinto.
Live auction 298

Old Masters Paintings - I

wed 17 May 2017
Genoa
SINGLE SESSION 17/05/2017 Hours 15:00
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